Karate-Do: non solo sport
Il karate-do è un’ARTE che purtroppo spesso viene considerata soltanto uno sport.
Molte sono le discipline sportive che si possono svolgere a livello dilettantistico, ma il karate è sicuramente molto più di un semplice esercizio di muscoli e concentrazione: la sua pratica conduce infatti al raggiungimento di un profondo equilibrio psico-fisico.
La cultura è quella del cuore e dell’addestramento marziale, una disciplina che non estranea l’allievo dal contesto della società contemporanea, ma ne prevede l’inserimento nel corso di un processo formativo del carattere per condurlo al controllo dei sentimenti e dell’autodisciplina.
- Appassionante attività sportiva
- Efficace difesa personale
- Equilibrato sviluppo psicofisico
Con la pratica del karate-do le parole si caricano di nuovi significati; forza interiore e armonia, movimento ed equilibrio sono concetti che gli allievi giungono ad assimilare con l’aiuto dei Maestri attraverso l’esercizio e la concentrazione.
La nozione di “DO” (via) è concepita nella cultura giapponese come un cammino da percorrere con l’approfondimento della disciplina. Per questo il karate-do non è una semplice arte del combattimento; il suo primo obiettivo è quello di forgiare il corpo e lo spirito.
Chi inizia a praticare il karate non dovrà mai dimenticare due massime fondamentali: “L’arte del pugno è quella di un saggio” e “Il karate non comincia con un attacco”.
Cos'è il Karate-Do
Il karate-do è conosciuto ormai in tutto il mondo, ma solamente una minoranza di persone è al corrente dei valori che esso racchiude.
Karate-do è tradotto letteralmente in VIA (do) DELLA MANO (te) VUOTA (kara):
- VIA (do) – le “vie” sono discipline che permettono a chi le percorre di realizzarsi secondo le proprie possibilità potenziali.
- VUOTA (kara) – questo termine, oltre ad indicare che il karate utilizza tecniche che consentono la difesa personale a mani nude (senza l’impiego di armi), si riferisce soprattutto ad uno stato della mente che deve essere libera da ogni idea preconcetta, da ogni influenza esterna, in stato di ricettività totale, pronta ad agire in ogni situazione nel migliore dei modi.
Il karate tradizionale è un’arte di autodifesa che usa il corpo umano nei modi più efficaci. Attraverso il karate tradizionale l’uomo può ampliare e migliorare le proprie capacità fisiche e mentali poiché con la continua ricerca di miglioramento tecnico sopravviene un ampliamento di tutte le capacità umane.
- IL KARATE E’ MEZZO PER MIGLIORARE IL CARATTERE Hitotsu, Jinkaku Kansei ni Tsutomuru Koto
- IL KARATE E’ VIA DI SINCERITA’ Hitotsu, Makoto no Michi o Mamoru Koto
- IL KARATE E’ MEZZO PER RAFFORZARE LA COSTANZA DELLO SPIRITO Hitotsu, Doryoku no Seishin o Yashinau Koto
- IL KARATE E’ VIA PER IMPARARE IL RISPETTO UNIVERSALE Hitotsu, Reigi o Omonzuru Koto
- IL KARATE E’ VIA PER ACQUISIRE L’AUTOCONTROLLO Hitotsu, Kekki no Yu o Imashimuru Koto
Il Saluto
Il Karate comincia e termina con il saluto “rei”
Il principio del M° Gichin Funakoshi “Senza cortesia il valore del karate va perso” racchiude il significato e l’importanza del saluto.
Il saluto è un concetto fondamentale per tutte le arti marziali di origine giapponese, è espressione di cortesia e sincerità, è l’essenza del rispetto e il rispetto è l’anima dell’arte marziale: se il saluto andasse perso, lo sarebbe anche il valore dell’arte marziale.
Il primo gesto che viene insegnato ad un principiante è il saluto “rei”.
Il rituale del saluto è un atto semplice nella sua forma esteriore, ma molto complesso nel suo aspetto interiore, poiché rappresenta una presa di coscienza di se stessi e dell’arte che si sta per praticare, è un atto di rispetto nei confronti del proprio compagno, dell’avversario in combattimento, del dojo (la palestra, il luogo di pratica dell’arte), del Maestro e di se stessi. Per questo il saluto non deve mai diventare un automatismo, un’abitudine o un obbligo imposto dal Maestro, deve essere eseguito correttamente, la fretta dei movimenti e il rilassamento della posizione sono segni di un karate superficiale.
Il praticante, attraverso il saluto, si predispone correttamente all’allenamento che richiede pazienza, umiltà e controllo dei propri sentimenti, un lavoro disciplinato, costante e diligente. Questo è lo spirito della via marziale del “budo”: l’umiltà è un atteggiamento che bisogna assumere nella vita, la prima lotta che bisogna vincere è quella contro la propria presunzione.
All’inizio e alla fine della lezione si effettua il saluto collettivo in ginocchio “seiza”. Gli allievi si dispongono tutti in fila in ordine di grado, il Maestro si dispone davanti alla fila, il Sempai, l’allievo del dojo più alto in grado dopo il Maestro, si dispone come capofila e comanda il seiza, indicando a tutti i praticanti di inginocchiarsi portando a terra prima il ginocchio sinistro e poi il destro, mantenendo, una volta inginocchiati, le mani sulle cosce, la schiena dritta e la testa eretta. A questo punto il Sempai pronuncia il saluto come segue:
- Shomen ni rei – saluto frontale rivolto al M° Gichin Funakoshi, fondatore dello stile Shotokan
- Sensei ni rei – saluto rivolto al Maestro
- Otagai ni rei – saluto tra gli allievi
Ad ogni saluto si esegue l’inchino detto “zarei”, appoggiando sul terreno di fronte a se prima la mano sinistra, poi la mano destra con i palmi in basso e le dita serrate rivolte leggermente verso l’interno, senza sollevare i fianchi. Alla fine di ogni inchino si torna in posizione di seiza riportando sulle cosce prima la mano destra, poi la sinistra. A conclusione dell’ultimo saluto il Sempai comanda il “kiritsu” (alzarsi in piedi).
Al termine della lezione, non obbligatoriamente, sempre in posizione di seiza, il Sempai può comandare il “mokuso”, la meditazione eseguita in profondo silenzio e con occhi chiusi, e recitare ad alta voce i cinque principi del “dojo kun” che gli allievi ripeteranno di volta in volta.
Il saluto in seiza può anche essere individuale. Se si arriva in ritardo all’allenamento, ci si mette in seiza rivolti verso il Maestro e si attende il suo saluto prima di entrare. Se si deve abbandonare l’allenamento prima del termine, si chiede il permesso al Maestro, poi passando dietro a tutti, mai davanti, ci si porta verso l’uscita e si esegue il saluto in seiza rivolti verso il Maestro, attendendo sempre il suo saluto prima di uscire.
Il saluto individuale in piedi detto “ritsurei” viene eseguito al momento di entrare nel dojo e quando si esce per qualsiasi ragione, ogni volta che i praticanti si pongono di fronte tra loro, all’inizio e alla fine di ogni kata (esercizio di forma). Stando in posizione eretta, talloni uniti e punte dei piedi divaricate a 45° (posizione “musubi dachi”), mantenendo busto e nuca ben eretti, braccia tese lungo i fianchi, mani e dita ben tese e serrate lungo le cosce, quindi si piega in avanti il busto di circa 30° ed infine si torna in posizione eretta, eseguendo un inchino discreto e sincero.
La pratica del Karate
L’apprendimento e la pratica del karate si sviluppano fondamentalmente attraverso tre forme di allenamento: Kihon (tecniche di base), Kata (forma), Kumite (combattimento)
- KIHON (tecniche di base)
- KATA (forma)
- KUMITE (combattimento)
KIHON: la pratica del kihon consiste nell’eseguire singolarmente o in combinazione le varie tecniche, ripetendole più volte al fine di interiorizzarle e renderle istintive. Prima lentamente, poi velocemente, ogni singola tecnica viene analizzata e compresa nella sua forma ideale. La dinamica di ogni movimento viene accuratamente studiata allo scopo di ottenere la massima efficacia. Durante questa pratica l’allievo impara gradualmente le tecniche, comprendendone i principi, impara a usare correttamente la propria energia, la respirazione ed il funzionamento del proprio corpo, acquisendone il controllo.
KATA: il sapere tecnico del karate è codificato nel kata, esercizi che si ripetono nel corso degli allenamenti e servono a trasmettere tale sapere. Il kata è un insieme di parate, contrattacchi, spostamenti, che si svolgono secondo ordine, ritmo e coordinazione e che simboleggiano un combattimento reale contro più avversari. L’allenamento quotidiano conferisce la calma necessaria non solo per una armoniosa conduzione del kata, ma anche della vita. Abitua a concentrare lo spirito e il pensiero su un punto e su quello solo. Nei kata nulla è superfluo, ogni minimo movimento è stato studiato minuziosamente dai grandi Maestri che li hanno creati, ognuno con uno scopo preciso: alcuni per plasmare il corpo rafforzando e potenziando gli apparati muscolare e scheletrico, altri per acuire i riflessi e stimolare la velocità.
KUMITE è il combattimento tra due avversari nel corso del quale sono applicate le tecniche apprese con l’allenamento del KIHON e del KATA. Il combattimento deve essere affrontato con serenità di spirito, lealtà e correttezza, con la piena convinzione di dover rispettare la capacità tecnica, la dignità personale e l’integrità fisica dell’avversario. Per raggiungere questo risultato si deve profondere il massimo impegno fisico e psichico, mantenere la maggiore concentrazione ed impiegare tutta la forza e la potenza nell’esecuzione delle tecniche. Questo costituisce una prova di rispetto verso l’avversario, una dimostrazione che non lo si sottovaluta, rappresenta un impegno di onestà personale, poiché nessuna tecnica deve essere portata con l’intenzione di ferire.
Il Kiai
Il Kiai, l’urlo degli antichi Samurai, ha origini molto remote e il suo studio raggiunse i massimi livelli nel Giappone feudale. Nell’antichità l’arte del kiai rappresentava uno specifico metodo di combattimento, basato sull’impiego del grido come arma per intimorire il nemico e rafforzare lo spirito del guerriero.
“KI” sta per energia, mente, volontà.
“AI” (contrazione del verbo “awaseru”) significa unione, incontro.
Il kiai consiste nell’emettere un profondo e forte suono ed è espressione della volontà di portare a termine una tecnica marziale, ma è anche manifestazione del principio orientale di unità e armonia con l’universo, poiché nel momento del kiai l’individuo ricerca l’unione della propria energia vitale, sia fisica che mentale, con l’energia della natura attraverso l’espirazione provocata dalla forte contrazione addominale.
Infatti la tradizione orientale fa risiedere il centro di contatto tra corpo e anima nel punto (chiamato “hara”, “tanden”) situato a circa cinque centimetri sotto l’ombelico, dove si concentra l’energia.
Nella pratica del karate il kiai viene utilizzato per arrivare al bersaglio e simboleggia una tecnica definitiva cui partecipano corpo, spirito e cuore.
Il Karate e la medicina
Recentemente la medicina si è avvicinata al karate riconoscendo questa disciplina tra le attività sportive che influiscono beneficamente sull’armonico sviluppo somatico e psichico dei giovani e favoriscono la regressione di disturbi funzionali nei soggetti anziani.
E’ stato accertato che gli esercizi di base possono trovare utilizzazione nel trattamento dei vizi di portamento così frequenti tra i giovani nell’età scolare, nonché nella cura delle malattie ipocinetiche (difetti dovuti a insufficienza di movimento muscolare e ad eccessivo sedentarismo) che colpiscono sia i giovani in età evolutiva sia le persone mature nelle quali si esprimono come disturbi funzionali a carico di vari organi e apparati. Il karate contribuisce a rendere reversibili o a prevenire questi mali.
La gradualità dell’allenamento e le sue caratteristiche fisiologiche (l’alternarsi di lavoro ampiamente sottomassimale a brevi spunti di lavoro massimale, consente un corretto dosaggio dello sforzo) fanno si che il karate possa essere praticato da tutti senza distinzione di età e di sesso.